Bartolomeo Mengotti, artigiano, artista, ribelle

 Il terzo protagonista di “Zigo Zago – I goriziani che non ti immaginavi e le loro storie, zigzagando per la città”

Di Flavio Cecere

di Flavio Cecere


Nato nel 1785 in una famiglia benestante, che aveva una manifattura per la lavorazione della lana in provincia di Parma, il giovane Bartolomeo non avrebbe dovuto discostarsi dal percorso di vita già tracciato secondo il volere del padre, continuando l’impresa familiare. Per lui, tuttavia, fu subito chiaro che la vita del “ragno” tessitore non era nel suo orizzonte, motivo per cui il genitore lo condusse a lavorare e fare esperienza nella bottega di un tintore (Cossar, 1940:32).

Il tentativo di sistemare a bottega il ragazzo non ebbe successo, tant’è che Bartolomeo, abbandonò la natia Schia e finì a Rovereto, dove riuscì a farsi assumere «come garzone in una fabbrica di carte da gioco»  (ibidem, 33).
Nel 1809 passò alle dipendenze dell’ex gesuita don Antonio Rùbio, in una fabbrica di Trieste; ed è qui che il giovane Mengotti nel 1813 aprì la sua prima attività nel campo delle carte da gioco, al numero 1 di Via Capitelli, riuscendo ben presto a farsi un nome e una buona posizione nello specifico mercato.
Innovatore e creativo, al punto da rivoluzionare l’impostazione grafica tradizionale delle carte, Mengotti aveva anche un’ «arguta vena poetica popolare» (ivi),  che gli suggerì di «pubblicare sul rovescio delle sue carte epigrammi dal sapore locale, che le rendevano desiderate anche per questo motivo» (ivi).

Da abile imprenditore, diversificò la sua attività aprendo un’osteria dall’insolita insegna “Tre tre fala ?... Danari”, gestita insieme alla sua vivace consorte Giuseppina Zadnig, nell’animato rione di Cavana, e frequentata anche da letterati e artisti.
A quei tempi, Bartolomeo era descritto come «uomo festevole, amante della burla inoffensiva, che con la buona ciera e la giocondità dell’umore scacciava le malinconie degli animi facili a turbarsi» (ibidem, 36).
Ma non fu solo un burlone, negli anni le sue carte da gioco divennero anche un mezzo per esprimere le sue opinioni e le sue critiche, sui temi più diversi, anche sulla politica. Ricordiamo l’audacia della grafica che, stigmatizzando la mancata applicazione della Costituzione pur esistente nell’Impero austro ungarico, raffigurava «un uomo che stava cercandola in un pozzo con una corda uncinata», accompagnata dalla didascalia «Cossa cerchè paron? Cerco la costituzion» (ibidem, 39).
Un’altra memorabile satira sta nel mazzo di carte con cui «predisse la rivoluzione del 1848» (ibidem,38): «la scena rappresenta una grande pentola posta sul fuoco e Arlecchino che per mezzo di un soffietto ravviva la fiamma. Sulla pentola sta la scritta: Europa, al margine superiore della carta il commento: Varda cossa che la boie”» (ivi).
Attraverso le carte da gioco si rileggono anche i guai che Mengotti dovette affrontare nella sua attività, come l’applicazione della marca da bollo che doveva risultare sulle stesse carte (ibidem, 42). Inadempiente, fu sanzionato con una multa, e lui puntualmente ne diede riscontro producendo un’edizione con «la melanconica riflessione posta sopra una tartaruga e una chiocciola: “Beati i possidenti – che son d’imposte esenti”» (ibidem, 43).

A partire dal 1837, ci fu un periodo veneziano, testimoniato dalle carte da gioco con la veduta di piazza San Marco, seguito da trasferimenti ulteriori tra Trieste, Monfalcone e Duino. Infine Mengotti, nel 1853, giunse a Gorizia e qui si fermò, in una casa di Riva Castello, riunendo l’intera famiglia, cioè la moglie e i figli Romeo e Ariodante.
Fu proprio Ariodante che, dopo la morte del padre nel 1862, ritornato a Trieste e ripresa l’attività, continuò non solo a produrre ambiti mazzi di carte da gioco, con impressa la sigla AM, ma a realizzarli riprendendo la tradizione paterna di caratterizzarli con epigrammi satirici, polemici o semplicemente umoristici. 
Durante la Prima Guerra Mondiale Ariodante cedette l’azienda alla Modiano, attiva ancora oggi a Trieste: le storiche grafiche dei Mengotti sono ancora riconoscibili sui mazzi di carte “triestine” per il gioco della briscola.

Bibliografia

Cossar Ranieri Mario, L’arte delle carte da giuoco nella Venezia Giulia, Lares, Vol.11, n°1, 1940
https://www.jstor.org/stable/26238220.

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo.